Insegnamento - apprendimento e TIC

Invio nuovamente questo intervento che ho inviato in una sezione non appropriata del forum. Mi scuso per la disattenzione.
Domingo Paola, insegnante del liceo Issel di Finale Ligure (SV)

Ho ricevuto una sintesi dell'intervento di Maragliano a un convegno tenutosi a Bologna che mi pare pertinente alla problematica in oggetto e di indubbio interesse per le riflessioni che dovremmo avviare in aula con i colleghi iscritti ai corsi B.
Affronta più in profondità e con un'altra angolatura un problema che avevo sollevato nel mio precedente intervento.
La propongo alla vostra attenzione.


Sintesi, a cura di Mario Pinotti (Associazione Progetto per la scuola e Istituto Storico Parri) dell’intervento di Maragliano sulle “Strutture percettive dei giovani” tenutosi il 10 aprile a Bologna

LA PROPOSTA DI ROBERTO MARAGLIANO (università di Roma 3)

E’ sua intenzione affrontare non sistematicamente le sollecitazioni dei temi finora posti. Egli parte enunciando una tesi in forma estrema: siamo in presenza di una profonda, radicale discontinuità. Siamo davanti a qualcosa di paragonabile al passaggio che avvenne a partire dal XV secolo, quando cominciò ad affermarsi la scrittura a stampa in sostituzione della scrittura manuale. A sua volta questa discontinuità ha un precedente cruciale nel passaggio, antichissimo, dalla cultura orale alla cultura scritta.
In cosa consiste, allora, la discontinuità epocale che stiamo vivendo? Egli non fa riferimento alla rivoluzione di internet, dal momento che a suo vedere internet si inscrive in una rivoluzione di lunga durata che ha inizio alla fine dell’Ottocento: la vera e propria discontinuità è rappresentata, essenzialmente, dalla riproduzione del suono. In precedenza questa possibilità era stata evocata solo dai miti che attribuivano questa esperienza esclusivamente agli dei o agli eventi soprannaturali. Il disco fonico, la radio hanno sonorizzato il mondo: questo cessa di essere silenzioso, il suono entra nella cultura, fa cultura. Emblematica è l’esperienza della percezione musicale. La riproducibilità del suono nei salotti o mentre si viaggia trasforma irreversibilmente, p. es. il nostro rapporto con la musica.
E’ sotto gli occhi di tutti l’’implicazione forse più macroscopica di questo fenomeno. Il nuovo sistema percettivo e fruitorio produce grandi effetti sulle nuove generazioni. Queste imparano quindi attraverso il suono; nella pratica si radica un apprendimento attraverso l’udito che soppianta quello visivo, fondamento delle tradizionali forme di apprendimento. L’insegnamento delle lingue straniere risente in modo particolare di questa egemonia “sonora”: esso fomenta la pratica dell’”immersione”, inconsueta per l’ordinaria prassi didattica.
Avviene così un decentramento rispetto alla centralità dell’insegnamento ed entra in crisi l’idea che l’apprendimento dipenda solo dall’insegnamento. Anzi, si moltiplicano le esperienze in cui l’apprendimento si realizza più compiutamente lontano dall’insegnamento. Il campo linguistico è l’avanguardia di questa “diaspora”. Mai come in questo momento si investe sull’educazione, sull’apprendimento, ma i “capitali” non si concentrano sulle istituzioni che fino ad ieri ne avevano il monopolio: il learning ha la meglio sul teaching, che è al suo servizio.
Questa diagnosi non implica necessariamente né una valutazione pessimistica, né una valutazione ottimistica dei nuovi elementi che risultano oggi fondamentali nell’apprendimento, le nuove conquiste tecnologico-mediatiche.
Certo è che il modello piagetiano, invalso per molto tempo, appare troppo schematico. Maragliano condivide pertanto la critica a Piaget mossa da Papert, un professore di matematica sudafricano che incontrò Piaget e in una prima fase del suo lavoro cercò una soluzione cibernetica alla teoria di Piaget: fabbricare cioè una macchina che accumulasse le proprie conoscenze attraverso l’esperienza. La riuscita di questa impresa avrebbe incontestabilmente dimostrato la supremazia del pensiero operatorio astratto dando alla visione piagetiana un suggello formidabile. Ma l’impresa non gli riuscì. Papert, deluso da questo insuccesso, andò negli USA ed diventò Lego-professor (presso la ditta omonima) allo scopo di far ricerche sul rapporto che il computer può avere rispetto all’apprendimento dei bambini. Egli, oggi, sostiene la predominanza del pensiero operatorio concreto. Questa intelligenza non è affatto in conflitto con l’intelligenza operatrice astratta, né semplicemente la precede, ma ne diventa il presupposto e continua ad affiancarla.
L’intelligenza concreta ha avuto, grazie alle nuove macchine, un grande sviluppo: in particolare, attraverso la pratica della simulazione. Una teoria fisica, ad esempio, trasformata in un software, riesce ad essere rivestita materialmente mostrando “concretamente” le relazioni che enuncia.
Insomma, l’intelligenza si costruisce attraverso i ‘mattoncini’ sociali (scuola, consumi, giochi, …) a cui noi aggiungiamo i link, le relazioni. La differenza pertanto consiste in chi sa fare o in chi non sa fare questi collegamenti. Davanti a questo scenario la scuola è tagliata fuori: lo indica il fatto che molti insegnanti percepiscono questa età come declino, come caduta da un mitico tempo dell’oro. Maragliano si dice preoccupato dal fatto che questa visione pessimistica può tradursi in aggressività (dell’istituzione, non dei singoli) nei confronti dei ragazzi. Questo è negativo poiché si mette in discussione non chi non apprende, ma chi apprende altre cose e in altri modi.
La famigliarità che il ragazzo ha con la tecnologia dipende dalla predominanza del pensiero logico-concreto: attraverso la navigazione l’adolescente elude il sistema dei segni. Per questo l’adulto a scuola dovrebbe apprendere il computer in modo non formale e comprenderne, invece, questa intima ratio. L’idea di preparare gli insegnanti all’uso dei computer attraverso l’apprendimento sistematico e formalistico significa esporre questa buona intenzione al fallimento. Nel mondo del lavoro si punta molto invece sull’apprendimento attraverso il gioco proprio per il carattere operatorio concreto che l’attività ludica comporta.
La scuola, invece, pensa che tutto questo sia sbagliato, che essa possieda la vera conoscenza, e per questa via va incontro al fallimento delle sue finalità.
La misura di questo divario è indicata da un esempio. La scuola dice che i giovani leggono di meno, gli editori dicono che si legge di più. La scuola iperverbale non ha futuro ed è condannata all’isolamento.
In questa scuola l’ingresso del computer potrebbe essere un’opportunità importantissima; ma, se la scuola la affronterà come se fosse una specializzazione da apprendere formalisticamente, avrà sprecato questa occasione. Il computer non è uno strumento specialistico, ma una macchina generica. Per esempio, è ingenuo credere, rispetto alla scrittura attraverso il computer, che la riproduzione dei file sia un’operazione puramente meccanica, l’esecutiva riproduzione di una copia. Ogni file è un originale.
In generale, la scuola deve riuscire ad andare incontro ai saperi che i giovani apprendono fuori dalla scuola e deve, soprattutto, saperli valutare. Anche il sistema di valutazione, se tende a verificare le competenze di riproduzione corretta di ciò che è stato insegnato, va contro al fallimento, sia come metodo, sia perché le verifiche sono solo individuali, mentre nel mondo del lavoro è fondamentale l’efficienza del gruppo. E’ paradossale che il taylorismo come dogma resista ancora solo nella scuola. Come rifondare il sistema valutativo? Ecco alcune idee: 1) mettere in crisi la corrispondenza classe-materia-età; 2) valutare l’apprendimento attraverso il lavoro dei gruppi dando importanza allo scambio, riconoscendo come si possa imparare vedendo e condividendo (metafora della bottega); 3) usare più linguaggi.